Disegno, croce e delizia

Inauguro con questo post la rubrichetta da Blablaologa (chi carpisce la cit si merita un piccolo abbraccio da parte mia, e ne regalo pochi).

Negli scorsi giorni mi è capitato di parlare spesso di questo argomento con amici o con qualcuno di voi che mi segue su instagram, quindi ho ben pensato di spenderci due lire, chissà che non ci sia qualcuno la fuori nella mia stessa situazione.

Allora, sarà come sempre un flusso di coscienza adatto alla lettura da bagno, quindi armatevi di pazienza, fatevi un caffè e, se vi fa piacere, seguitemi in questo contorto spiegone. Spoiler: non ho la soluzione, quindi vedete pure il finale come un qualcosa di aperto e in divenire.

PS. ho dovuto ricontrollare quei 4 post in croce che ho scritto perchè tendo a ripetermi spesso e non vorrei fare la figura dell’artereosclerotica.

Iniziamo, perchè qua mi sto già perdendo nel ciarpame che abita la mia testa.

Ricordo che mi è sempre piaciuto disegnare, mi è sempre anche riuscito discretamente bene, se posso auto dirmelo. Da piccolina, alle elementari, avevo pure realizzato una piccola opera a fumetti che penso di aver mostrato con orgoglio ad una povera cristiana di insegnante, provocandole piccoli conati di vomito ben mascherati da candidi sorrisi. Poi, quando sono arrivata alle medie, ho beccato un’insegnante di educazione artistica un po’…speciale, che non aveva capito una beata sega, se non che non le piacevo tanto. Questa egregia, esimia… maledetta…quando è arrivato il momento di indirizzare le creature verso una vita futura ha sconsigliato caldamente ai miei genitori che io seguissi un percorso artistico. Vigliacca. Quindi, vuoi per questa simpatica soggetta, vuoi per la nomea che aveva all’epoca l’artistico, vuoi che avevo pensato per un attimo che mi potessero piacere le persone e che avrei potuto fare la psicologa da grande, ho deciso di prendere la strada del pedagogico.

Pensate che a na certa pensavo mi piacessero pure i bambini, ho rischiato di diventare ostetrica, fortuna che sono scema e non ho mai passato i test di ammissione, altrimenti adesso sarei qua a far sgravare le mammine pancine.

Comunque…alle superiori diciamo che avevo un po’ accantonato le mie velleità artistiche. Fatta eccezione per tre volumi a quattro mani scritti con la mia bff. Abbiamo rifatto a fumetti i promessi sposi, un albo scientifico che parlava degli albini e un trattato zoologico sugli uomini padre. Perle signori, perle. Ci volevano separare di banco a na certa.

Salto a piè pari la parte post diploma dicendo solo che sono finita per sei mesi a lingue e cultura per l’editoria, in russo. So solo dire come mi chiamo, come stai e una zozzeria che mi permettere di campare in maniera poco legale.

Trico traco finalmente arriviamo al momento in cui ho deciso di mandare in culo mezzo mondo e di iscrivermi in un’università di graphic design e multimedia, attirata dal loro corso di illustrazione.

Beh, la faccio ancora più breve: buuuh.

Prima o poi dedicherò un post sul mio percorso universitario e cosa ne penso in generale.

MA NON È QUESTO IL GIORNO.

Dirò solo che è stato svilente e da allora è iniziato il mio rapporto disfunzionale con il mondo dell’illustrazione. Chi si inseriva nel giro giusto veniva premiato, chi non ci riusciva invece beh…diciamo che veniva bollato come “incapace” o “mediocre”.

Per molto tempo ho cercato di spremere il più possibile dai miei disegni. Perché per me disegnare, finalmente, e cercare di farne una professione non era una cosa fisiologica, ma una sorta di lusso. Ed essendo un lusso non potevo permettermi di non riuscire.

Solo che, nella stragrande maggioranza dei casi e delle professioni, lo sforzo non è sinonimo di qualità. Mi vien da pensare che, allo stesso modo, un avvocato civilista se si sforza di essere penalista fallirà su tutta la linea.

Quindi piano piano il disegnare si è trasformato in una fonte di stress e malumore.

Vi faccio un esempio più vicino, saltando i momenti neri neri.

Ho avviato il mio profilo Instagram (seguimi a proposito) pensando “oddio ma vanno una cifra i disegni per i bambini e il mercato dell’editoria è quello che assolutamente mi permetterà di dare una svolta alla mia carriera”.

BEEEP, FALZO.

In primis vi invito a leggere qualche paragrafo sopra e capirete che mi fanno un po’ schifo i bambini: belli se degli altri, e anche no.

In secondo luogo io non riesco fisicamente a portare avanti i progetti che implichino più di un paio di illustrazioni stand alone, quindi un intero libro per bambini è la cosa che più mi creerebbe stress.

Quindi mi sono fermata, di nuovo.

Sto riprendendo adesso, sfruttando un valido consiglio che mi è stato dato poco tempo fa: pensa a cosa non ti piace, il resto viene da sé.

Quindi cari amicici, questo è il presente: io che cerco di non fare quello che non mi piace, concedendomi di non pensare al mercato, ai trend o a quello che piace alle persone.

Bene, avete fatto tutta la pipì?!

Anche io.

Cià ciao.

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