Quel Giano bifronte dell’artista

Con i titoli si vola ultimamente, metafore, paragoni, cenni storici, na crema stiamo diventando!

Comunque benvenuti in un nuovo post di questo fantastico blog, che si sta lentamente trasformando in un salotto vecchio, stantio, con la tappezzeria a fiori e il pulviscolo che ormai manco sente più la gravità della stanza. Rendo l’idea no?! Ma in fin dei conti ho 31 anni e la mia generazione è in un limbo strano tra un “giovane vorrei ma non posso” e una creatura crepuscolare che agita il bastone in aria gridando “ai miei tempi i treni arrivavano in orario!”.

Quindi eccoci qua, con questo nuovo e frizzante post che inizia in terza con una salita a ciottoli davanti a se.

Come dico nel titolo oggi voglio parlarvi di quello che sto provando come artista (mi definisco così per convenienza, non perchè ci creda davvero, ma in fin dei conti un’artista è davvero tale senza la sindrome dell’impostore e quella falsa modestia che ti stuzzica il tasto della nausea?).

Io sono stata un’artista un po’ tardiva. Ho iniziato l’università con due anni di ritardo, un po’ perchè non sapevo cosa fare un po’ perchè “ai miei tempi” il lavoro dell’artista non era ben visto. Siamo una generazione del boom universitario, un’epoca dove DOVEVI studiare perchè non era un lusso garantito ai nostri genitori. Ma non dovevi solo studiare, dovevi studiare qualcosa che ti desse da vivere, perchè l’università era un lusso nella testa dei più grandi, un’occasione da non sprecare dietro ai disegnini, ma piuttosto dietro a medicina, legge o economia.

Quindi ho iniziato tardi, barcollando tra un’università, un corso e qualche lavoro.

E quando ho iniziato a studiare era ancora l’epoca di deviantart o artstation, un uso sconsiderato di facebook e instagram solo per le foto a culo di gallina.

Ho terminato l’università con molta nausea. Perchè, nonostante fosse quello che davvero volevo fare nella vita, ne ero rimasta schifata. Una piccola parte della colpa sta nella scelta obbligata dell’università: dovevo trovare qualcosa che fosse vicina a casa per non spendere troppo e c’era solo l’indirizzo di Graphic Design e Multimedia. Peccato che questo si traduceva in un gran minestrone di cose inutili e un microscopico corso di illustrazione, quello che mi interessava realmente. In più la mia è stata un’università un po’ diciamo…alla cazzo di cane.

La faccio breve: uscita da quei tre anni non avevo più voglia di disegnare. Ero stata bastonata su troppi fronti.

Ho trovato un lavoro che non aveva nulla a che fare con il disegno e quindi per me i social sono diventati solo per le foto a culo di gallina.

C’è stata poi la pandemia e le regole nel giro di pochi anni si sono stravolte. Quello che prima era un terreno fertile per molti si è presto affollato, riempito e saturato. E quando domanda e offerta non vanno per il verso giusto ci si devono inventare un sacco di regole nuove per cercare di primeggiare.

Un po’ come YouTube alle origini, quando la piattaforma è nata non importava molto come uno realizzava i video, quanti ne faceva e quanto engagement aveva. Pian piano però, quando tutti erano ormai saliti su quel treno l’asticella ha iniziato ad alzarsi.

Uguale hanno fatto gli altri social: dovevi pubblicare di più, meglio ed intrattenere.

E tutti noi ci siamo cascati dentro con tutte e due le scarpe.

In pandemia facevi il pane? Ora sei una trad wife che alleva galline sul balcone a Milano.

Prima facevi due balletti con quella povera diavola di tua nonna? Adesso la nonna fa la sponsor ad una crema coreana.

E così anche noi che “spaciughiamo” su tela. Prima disegnavi? Ora devi disegnare a singhiozzi perchè devi ricordarti di fare le ripresine del cazzo, seguire i trend e avere una scrivania che se la guardasse un criminologo direbbe “Questa non ha superato il complesso Edipico da piccola, prima o poi qualcuno ci resta secco”.

Siamo arrivati in un limbo strano, dove da una parte se vuoi guadagnare senza essere influencer (parlo ad esempio di lavori con case editrici, brand che cercano una nuova immagine e non sponsorizzare borracce) devi avere dei bei contenuti ma dall’altra a nessuno frega un cazzo di te se non hai un tot di follower o se gli algoritmi non ti sparano nei per te di un qualche editore.

Ma i contenuti che tu realizzi per guadagnare i follower non saranno mai al 100% sinceri, veri, ma un po’ strizzeranno sempre l’occhio all’engage. Non parli di temi a te cari, non ti esprimi più, perchè sostanzialmente di chi sei tu alla gente frega sega.

Qualche giorno fa stavo seguendo uno dei miei mille corsi per stare sul pezzo e la persona che teneva il suddetto corso diceva una cosa molto bella “Quello che vende è il tuo modo di vedere il mondo”. Questo voglio tatuarmelo da qualche parte. Perchè sono stufa di fare e vedere cose esteticamente gradevoli ma che non dicono nulla di me o della persona che sto ammirando.

Giano bifronte viene chiamato così, da quello che mi dice il sig Internet, perchè era in grado di guardare al passato e al futuro, ma non al presente. E come lui siamo diventati noi. Guardiamo solo in due direzioni, verso il riuscire a creare qualcosa ma sempre con un occhio puntato verso l’algoritmo, senza vedere che nel mezzo, nel presente, dovremo esserci noi, la nostra personalità e il nostro modo di leggere il mondo. Quella è la chiave.

Oggi cercavo per la centomillesima volta video su YouTube di “Come trovare il proprio stile personale” e niente, la risposta era più semplice di quello che pensassi: sono io il mio stile personale. I miei occhi, la mia mente e la mia mano, che non sono e non saranno mai gli stessi di quello che mi siede accanto.

So che è un pippone atomico questo post, ma avevo bisogno di sfogarmi un po’ con voi. Sentivo di voler gridare questa banalissima scoperta all’internet. Adesso vi do un bacino e come sempre vi invito a scrivermi per condividere pensieri ed idee. Ciao ciao.

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La solitudine dell’artista